
Dai lavori esposti in mostra, emergono due direttrici su cui si snoda l’attività creativa di Grazia Simeone, due valenze che si distinguono non tanto per i contenuti, quanto per la realizzazione tecnica delle idee dell’artista o, forse sarebbe meglio dire, del suo sentire: la prima si avvale dell’uso di un fantasioso mix di materiali e oggetti, l’altra si presenta più tradizionalmente pittorica.
Della prima fanno parte le opere come “Dimore”, tavole su cui viene assemblata una miriade di piccoli oggetti, molti dei quali appartengono al quotidiano delle donne: “objests trouvés” accostati a brani di specchi, secondo un’alchimia di colori, di luci e di forme. Sono opere che richiedono tempo, il tempo della memoria: frammenti di oggetti-soggetti che posseggono il valore antropologico degli incontri e delle presenze che popolano la vita dell’artista. Grazia li raccoglie e li assembla ricostruendo quel mondo che ha lasciato un’impronta in lei, immerso in un’atmosfera onirica che si avvicina alla ricerca di Annette Messager, artista internazionale che riflette sull’essere insieme donna e artista. Ciò che Umberto Eco definiva “liste vertiginose” è qui raccolto nella sua fisicità e gli stessi oggetti acquistano, collocati in nuove “dimore”, una connotazione simbolica e animica, oltre che antropologica e culturale.
In alcuni casi i dipinti della Simeone hanno la medesima densità: figure che si affastellano, corpi frammentati che si ricompongono in nuove anatomie e fluttuano in una realtà liquida dove tutto scorre. Da lì emergono volti, braccia, seni di un’umanità al femminile. Archetipi di donne senza tempo, icone di divinità pagane e cristiane che testimoniano sempre un interesse per il genere umano e denunciano la curiosità e l’affinamento dei sensi rivolti a un mondo parallelo, arcaico e animico.